Il prezzo della benzina sale perché l’Italia non raffina più

di Patrizia Feletig 16/04/2024 15:45
Il prezzo della benzina sale perché l’Italia non raffina più

Come è possibile che le quotazioni di un derivato del petrolio seguano una parabola opposta a quella del greggio? Lo spiega un esperto di trading energetico

Da giorni si assiste a un disaccoppiamento tra il prezzo della benzina e le quotazioni del petrolio. I prezzi alla pompa sono in crescita mentre le quotazioni del greggio, dopo una fugace impennata di venerdì 12, sono tornati sotto la quota psicologica di 90 dollari al barile per il Brent. Salvatore Carollo, esperto di trading energetico e autore dei libri “C’era una volta il prezzo del petrolio” (Scheiwiller, 2008) e di "Understanding Oil Prices: A Guide to What Drives the Price of Oil in Today's Markets” (Wiley 2012), spiega come sia possibile che le quotazioni di un derivato del petrolio seguano una parabola “proiettata a toccare picchi mai visti nella storia moderna del petrolio”, mentre le quotazioni della materia prima rimangono abbastanza stabili nonostante le dinamiche geopolitiche.

Domanda. Che sta succedendo sui mercati petroliferi?

Risposta. Non stiamo affrontando una crisi di offerta di petrolio inteso come materia prima a livello mondiale. Il problema che abbiamo davanti è che nessuno di noi usa il petrolio per i propri consumi. Nelle macchine mettiamo benzina o gasolio e negli aerei mettiamo jet fuel. Stiamo assistendo agli effetti di un'altra crisi annunciata e ricercata in tutti i modi possibili dai paesi industrializzati trascinati dalla verde Europa e favorita dall’indifferenza dell’opinione pubblica. La domanda mondiale di prodotti finiti del petrolio si aggira leggermente al di sopra di 100 milioni di barili/giorno. Per soddisfare questa domanda occorre produrre petrolio greggio al ritmo di almeno 100 milioni di barili/giorno. E questo, in qualche modo sta succedendo. Dunque c'è ampia disponibilità di petrolio greggio e non si può derivare l'aumento del prezzo della benzina da uno shortage di petrolio. Semmai è il contrario: l'alto prezzo dei prodotti spinge in alto quello del petrolio greggio.

D. In sostanza il petrolio non manca...

R. La capacità di raffinazione mondiale disponibile si aggira fra 83 e 85 milioni di barili/giorno, evidenziando uno shortage rispetto alla domanda globale di prodotti fra 15 e 17 milioni di barili/giorno. In particolare, i paesi Ocse hanno perso 2 milioni di barili/giorno di capacità nel corso degli ultimi cinque anni. Ciò vuol dire che il petrolio che viene trasformato in prodotti finiti è soltanto 83-85 milioni di barili/giorno. Il resto rimane allo stato di materia grezza nelle scorte sparse in giro per il mondo. Le scorte galleggianti o viaggianti su navi petroliere sono altissime. Le scorte commerciali mondiali di benzina presso i sistemi di raffinazione sono ai minimi livelli degli ultimi 10 anni e non c'è nessuna prospettiva che possano essere ricostituite in tempi utili per la campagna estiva.

D. Si estrae il giusto ma non lo si raffina tutto...

R. Per fare un parallelo con un’altra risorsa fondamentale per l’umanità, è come se avessimo una diga con un lago pieno d'acqua, ma senza una sufficiente capacità di trasporto dell'acqua per farla arrivare in città. Avremmo eccesso di acqua a monte e siccità a valle. Additare la mancanza di pioggia a causa dei cambiamenti climatici sarebbe ridicolo.

D. Quindi non ha senso la richiesta di diversi governanti ai paesi produttori di aumentare la produzione di greggio, quando l’anello debole è il sistema di raffinazione…

R. La raffinazione è in una crisi profonda. Non si registrano più investimenti significativi, a parte la manutenzione minima degli impianti esistenti, per garantire l'adeguamento alle nuove richieste di qualità dei mercati più redditizi. Ma di questo nessuno vuole parlare. Ci si attacca alle statistiche in cui si mostra l'esistenza di un'ampia disponibilità di impianti senza informazioni sulla loro vetusta età e prospettiva di durata. Disporre di capacità di raffinazione in cui trasformare il petrolio greggio nei prodotti finiti che servono al proprio mercato nazionale non è e non può essere una responsabilità dei paesi produttori, ma è una scelta strategica ed economica di ogni singolo paese.

D. Qual è la posizione dell'Italia?

R. L'Italia è stata per decenni il principale paese raffinatore d'Europa ed esportatore di benzina e gasolio verso i mercati redditizi del Nord Europa e del Nord America. Era uno dei quattro hub petroliferi del mondo, insieme a Rotterdam, Houston e Singapore. Eravamo decisivi nel determinare il prezzo dei prodotti petroliferi e potevamo garantirci i rifornimenti al più basso prezzo possibile.

D. Quali sono le prospettive future per il Paese?

R. La situazione contingente, che garantisce margini di raffinazione altissimi a causa della mancanza di prodotti sui mercati mondiali, allontana nel tempo il momento della chiusura di molti degli impianti esistenti. Eppure, come se non bastasse, si procede a ridurre la capacità esistente in modo surrettizio, chiamando la chiusura in modo diverso: come una trasformazione in bio-raffineria. In realtà, si fermano tutti gli impianti di una raffineria, lasciando operativi solo uno o due impianti minori per processare delle biomasse. Questa cosiddetta trasformazione ha finora comportato la scomparsa di 15 milioni di tonnellate di capacità di raffinazione a fronte degli 1,5 milioni di tonnellate di bio-raffineria rimasti, con una riduzione netta di 13,5 milioni di tonnellate, perse per sempre.

D. Occorre importare più prodotto raffinato dall’estero e i prezzi salgono. Dove abbiamo sbagliato?

R. Occorre una riflessione più approfondita, che ci faccia capire se siamo di fronte ad una de-responsabilizzazione collettiva o se è prevalsa una visione sul futuro dell'energia nazionale che si ritiene possa fare a meno del petrolio, come si è pensato di poter fare con il gas russo. Colpisce, in particolare, la fuga dell'Eni dalla raffinazione. Viene da pensare che a livello nazionale si sia deciso di abbandonare il petrolio, così come è avvenuto e sta avvenendo per altri settori industriali una volta ritenuti strategici (Alitalia, Fiat, Ilva, ecc). La prossima estate il prezzo della benzina salirà ancora e la situazione dei conti nazionali non permetterà neanche di intervenire sulle accise per cercare di limitare l'impatto sociale sui consumatori. (riproduzione riservata)


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