C’è lo spazio per crescere

di Francesco Bertolino (Milano Finanza) 18/07/2019 11:05
C’è lo spazio per crescere

Bezos, Musk, Branson: a 50 anni dall'allunaggio i miliardari esplorano la nuova frontiera degli affari con turismo orbitale, razzi riciclabili, costellazioni di satelliti La space economy vale 360 miliardi e 250 aziende italiane sono pronte al lancio

Mezzo secolo fa, il 20 luglio 1969, l’Apollo 11 atterrava sulla Luna e l’astronauta americano Neil Armstrong diventava il primo uomo a passeggiare sulla superficie lunare. La cronaca Rai dell’evento epocale è entrata nella storia. In pochi però ricordano che la diretta tv dell’allunaggio fu possibile grazie a un’antenna italiana, installata da Telespazio, società oggi controllata da Leonardo, nel Fucino (Abruzzo), tuttora il maggior centro spaziale al mondo per servizi commerciali e istituzionali. A partire dal lancio del primo satellite San Marco nel 1964 l’Italia si è affermata come sesta economia spaziale al mondo, fondata su un tessuto di oltre 250 aziende che impiegano circa 6300 persone per un giro d’affari superiore a 1,6 miliardi di euro.

Dopo alcuni anni di stanca, il settore sta vivendo un Rinascimento che va sotto il nome di new space economy. «Lo spazio è diventato un fattore abilitante dello sviluppo economico: oggi più che mai le applicazioni dei sistemi spaziali hanno un impatto diretto su istituzioni, imprese e cittadini», osserva Luigi Pasquali, coordinatore delle attività spaziali di Leonardo. Senza i 2100 satelliti in orbita attorno alla Terra, solo per citare alcuni esempi, non potrebbero esistere la logistica di Amazon, la navigazione di Google, l’agricoltura di precisione. Lo spazio è la nuova frontiera dell’economia digitale e per la sua conquista non competono più solo gli Stati. «Negli Usa l’attrazione dei capitali privati è stata resa possibile da una precisa strategia politica», spiega. «Il governo ha ridotto il budget pubblico e si è trasformato in consumatore di servizi: federando la domanda, ha consentito alle imprese di entrare nell’economia spaziale e di avere ritorni sugli investimenti».

Anche l’Europa si sta muovendo in questa direzione. «Nell’Ue l’adozione di questo modello è andata a rilento per via della maggior frammentazione degli Stati membri: solo negli ultimi tempi la Commissione ha inaugurato soluzioni di partenariato pubblico-privato a supporto dell’investimento delle imprese», prosegue Pasquali, «lo stesso sta accadendo in Italia dove il nuovo sistema di governance, incentrato sul Comitato interministeriale per lo spazio presso la presidenza del Consiglio, ha dato stabilità alle decisioni e contribuito ad aggregare risorse statali, regionali e private su progetti come Ital-Govsatcom, che doterà il nostro Paese di capacità satellitare per le telecomunicazioni governative».

Secondo Morgan Stanley, il giro d’affari dell’industria spaziale globale dovrebbe quadruplicare entro il 2040, passando da 360 a 1.100 miliardi di dollari. E, a differenza del passato, i privati più che i governi saranno il propulsore degli affari spaziali. «Con la new space economy è possibile avere ritorni sugli investimenti compatibili con i tempi della finanza», osserva Pasquali. In Italia lo dimostra la quotazione a Piazza Affari di Avio, prima società di lanciatori spaziali a confrontarsi con la borsa, e quella recente di Officina Stellare, attiva nello sviluppo di telescopi per l’osservazione della Terra e le comunicazioni laser.

Altrove, tre dei più iconici miliardari al mondo si sono lanciati nel turismo spaziale: il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, con Blue Origin, il creatore di Tesla, Elon Musk, con SpaceX e il fondatore del gruppo Virgin, Richard Branson, con Virgin Galactic. I loro progetti sono, in certo modo, figli del vuoto lasciato dagli Stati che dal 1972 non portano astronauti sulla Luna. Tanto che, ribaltando la celebre frase di Armstrong, si potrebbe dire che l’allunaggio è stato un grande balzo per un uomo, ma un piccolo passo per l’umanità. Bezos, Musk e Branson puntano invece a realizzare il sogno dei Paperoni di esplorare lo spazio, contendendosi un mercato che, secondo Ubs, nel 2030 potrebbe valere 3 miliardi. Intanto, prima che sulla Luna, Virgin Galactic a breve sbarcherà a Wall Street con una valutazione do 1,6 miliardi.

Il turismo spaziale non è tuttavia che il dito che lo stolto guarda quando il saggio indica la Luna. I razzi riutilizzabili progettati dalle compagnie dei tre miliardari serviranno in futuro per missioni ben più remunerative. Potrebbero, per esempio, soppiantare gli aerei nei voli a lungo raggio, realizzando il collegamento Londra-New York in mezz’ora e conquistando un mercato da almeno 20 miliardi. Oppure servire per il trasporto di merci o satelliti. A fine maggio SpaceX ha lanciato in orbita bassa i primi 60 satelliti della costellazione Starlink che dovrebbe contarne 12 mila entro il 2020. Obiettivo: portare la banda larga internet alla metà della popolazione mondiale che ne è priva. Musk dovrà vedersela con Bezos: pochi giorni fa Amazon ha chiesto autorizzazione al lancio di oltre 3.200 satelliti con lo stesso obiettivo e alla stessa distanza dalla Terra del progetto Starlink di SpaceX. «Le costellazioni di satelliti a bassa orbita consentiranno non solo di estendere l’accesso alla banda larga, ma anche di lavorare sulle comunicazioni in tempo reale, abilitando 5G e Internet of Things», sottolinea Pasquali. Dietro queste iniziative, insomma, non c’è solo lo scopo altruistico di colmare il divario digitale globale, ma anche interessi economici. Con l’accesso globale a Internet aumenta anche la base utenti potenziali di piattaforme come Google, Facebook e, appunto, Amazon.

In orbita bassa circolano già oltre 600mila oggetti e la nuova corsa allo spazio rischia di congestionare la circolazione. C’è bisogno di vigili urbani spaziali per regolarlo e di spazzini spaziali per recuperare i detriti in caso di guasti o collisioni. «L’osservazione dello spazio è nata da esigenze strategiche di difesa, ma oggi risponde anche a necessità operative di gestione del gran traffico di oggetti spaziali specialmente nelle orbite più affollate al di sotto dei 1.000 km dalla Terra dove viaggiano i satelliti per le telco», nota Pasquali. Lo sguardo dei satelliti continua però a rivolgersi soprattutto sulla Terra, carpendo informazioni utili ai governi, ma sempre più anche alle imprese. «I satelliti producono un’enorme mole di dati indispensabili per le applicazioni più disparate: business intelligence, sicurezza, gestione delle emergenze, analisi degli effetti del cambiamento climatico, sicurezza delle infrastrutture e dei mari», prosegue.

Oggi per gli Stati il controllo dello spazio è perciò ancor più strategico, rispondendo a esigenze non solo di difesa ma anche economiche. Non a caso a febbraio Donald Trump ha ordinato al Pentagono di creare una forza militare spaziale Usa. L’Ue, spiega Pasquali, «ha fatto una scelta non simmetrica rispetto agli altri attori spaziali, optando per la condivisione dei propri progetti a livello globale: i dati raccolti dal programma di osservazione della Terra Copernicus, per esempio, sono accessibili a tutti tanto che i maggiori utilizzatori sono cinesi e americani». Questa scelta di apertura favorisce l’export delle imprese europee, anche se, conclude, «sarebbe opportuno chiedere agli altri Paesi maggiore reciprocità». Resta da vedere se nel lungo termine la diplomazia spaziale europea avvantaggerà il Vecchio Continente nella nuova corsa allo spazio.


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